mercoledì 23 giugno 2010

Racconto: 27-01


27-01

Lasciali Lì!
— Li lasci lì quei brutti bastardi, sergente. Non valgono nulla — disse il capitano al sergente. Quest'ultimo si era fermato a guardare da vicino un gruppo di persone, circa 40, composto da uomini, donne, bambini, anziani. Tutti rosicati dalla guerra. Con gli animi pieni di buchi. Con i corpi pieni di cicatrici, tagli, pieni di fame. Erano tutti seduti lì, i vecchi con le mani nodose al volto. I bambini con le lacrime che scendevano veloci, lungo quelle guance non più paffute. Le donne accovacciate in posizione fetale o intente a consolare i bambini con parole invisibili, silenziose. Gli uomini invece guardavano fisso il sergente, che impietosito dalla scena aveva abbassato il suo sguardo nella terra fangosa. Loro erano eroi. Loro erano i veri uomini. Lui era una bestia infame. Si era lasciato consumare dall'istinto e dalla ferocia che risiede in tutti gli uomini. Quelle 40 persone invece avevano dignità, avevano ancora un'anima. Lui no. Un pezzo di anima l'aveva persa quando aveva ammazzato per la prima volta un uomo. Quando per la prima volta aveva dato un calcio nel costato ad un ragazzo, indifeso.
Le vere carni da macello erano loro, non le persone che mandavano a morte nelle camere a gas. E come carni da macello andavano a morire al fronte. Arrivavano sempre più notizie tragiche: battaglie perse e imboscate finite nel sangue. Il duce dall'alto della sua autorità diceva che stavano vincendo la guerra.
E Francesco stava lì, il fucile alla mano, guardando ancora per terra. Quelle povere persone erano le stesse che vedeva tutti i giorni, quelle stesse persone che si incrociano per la strada. — Tu cosa facevi prima di essere portato qui? — chiese ad uno del gruppo, indicandolo con l'indice. — Il professore di filosofia — rispose. — E tu? — chiese indicandone un altro — Il panettiere — fece quello. Gente comune. Lui stesso prima della guerra faceva il falegname. Si alzava all'alba, lavorava, mangiava, amava. Ed ora era una bestia, che uccideva gente che amava un altro dio. — Perchè ci chiedi queste cose? Cosa ti importa? Per te non siamo che delle bestie! — disse uno di loro. — Vieni qui — disse. L'uomo si alzò, benché tutti gli lo incitassero a desistere pensando al peggio. Francesco lo prese per un braccio e lo portò dietro un vicolo. — Dai fallo! — disse l'uomo. — Come ti chiami? — gli chiese il sergente Francesco. — Davide — rispose l'uomo un pò sorpreso, che aggiunse — ma per te sono solo un numero. — Allora Davide, voglio che tu mi stia a sentire. Mi somigli, sei della mia stessa statura. Questi dovrebbero andarti — disse il sergente, spogliandosi dei suoi vestiti.

Quel gruppo di quaranta persone fu alquanto sorpreso di trovarsi il sergente, che pochi minuti prima stava vicino al loro gruppo, vestito con gli abiti sporchi di Davide. La figura robusta di Francesco in mezzo a tutte quelle persone così magre svettava. Ma nessuno dei soldati ci fece caso. D'altronde per i soldati erano tutte bestie uguali.

Fuori, un uomo libero, di nome Davide, dopo aver superato il cancello e non essere stato riconosciuto dalle due guardie, tirò un sospiro di sollievo e ringraziò Dio per avergli mandato un angelo a salvarlo.




(Questo racconto l'ho scritto il 27 gennaio 2010. Un paio di persone hanno detto che è troppo "qualunquista" ma a me non è che importi più di tanto, ognuno la prende come vuole basta che tragga delle conclusioni. Se poi queste non sono buone è relativo. Alla prossima, ciao)

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